Lobbisti, i padroni di Tampa

Nov 16, 2012 1758

Una preghiera contro l'uragano, un ricordo per Neil Armstrong e tre simbolici colpi di martello per far decollare il contatore del debito pubblico dell'amministrazione di Barack Obama. Cinque minuti in tutto, forse meno.
L'apertura della convention repubblicana di Tampa lunedì 27 agosto si è ridotta a un drappello di delegati accalcati intorno al palco ancora in via di rifinitura: gli uomini con i cappelli texani in testa e le donne con i tacchi alti in mano, sfiancate dai chilometri di sentieri recintati necessari ad attraversare la città militarizzata.
La pioggia di Isaac, arrivata infine dopo ore di spasmodica attesa a pochi minuti dall'inizio ufficiale dei lavori, non ha invogliato la partecipazione. Ma, nei giorni melliflui che precedono il grande show della nomination, tutti hanno altri impegni. A lavorare non sono solo gli elicotteri che ronzano sopra il Tampa Bay Times forum con la stessa insistenza delle libellule giganti trasportate dalla tempesta tropicale. L'attività ferve lontano dai maxischermi: lobbisti, uomini d'affari e gente di mondo sono impegnati a scambiare biglietti da visita e promesse.
CENA D'AFFARI PER 90 LOBBISTI. Al ristorante Donatello - «25 anni di cucina privata a quattro stelle», accoglie un cartello all'ingresso - non si prendono prenotazioni. La National italian american foundation (Niaf, fondazione nazionale italo-americana) ha riservato per cena una saletta appartata: 10 tavoli per 90 persone in giacca e cravatta e abito lungo per le donne.
Il menù è luculliano: bruschette, scaloppine, calamari, dolci al cucchiaio. L'ingresso, invece, è riservato agli invitati: i repubblicani nel board dell'associazione italo-americana, gli iscritti con simpatie conservatrici, personaggi in vista nel business locale e nazionale, tre membri del Congresso, Mike pompeo, John Mica e Pat Tiberi con solidi legami con l'Italia e l'ambasciatore italiano a Washington Claudio Bisogniero.
«Niente di più di un incontro di routine», precisa Mark Valente III, 57 anni, nominato da pochi mesi nel consiglio d'amministrazione dell'associazione degli italiani e dominus di Valente Associates, veterana delle agenzie di lobbying di Washington Dc.
Ma l'adunata dei repubblicani è l'occasione per fare il punto su occasioni e opportunità prossime venture. Specie se Mitt Romney, come qui pensano in molti, dovesse sbaragliare Obama il 6 novembre.
Analoghi ragionamenti, per onore del vero, saranno fatti a Charlotte i primi di settembre, quando i democratici metteranno in campo il loro armamentario di miti e sogni per cercare la riconferma.
FEDELTÀ AL LIBERO MERCATO. La Niaf è un organismo bipartisan e senza scopi di lucro, anche se dalla fondazione, nel 1975, si occupa tra le altre cose di «promuovere e sviluppare i rapporti economici e culturali tra Italia e Stati Uniti». Anche spingendo i propri uomini migliori nelle maglie dell'amministrazione di turno.
Riuscirci, di questi tempi, è particolarmente importante. «Noi crediamo al capitalismo, non al socialismo», riassume senza prenderla troppo per il sottile Valente, la cui fede nel mercato libero ne ha fatto un fedele servitore prima di Ronald Reagan e poi di Bush figlio, nonché intimo amico del vicecandidato repubblicano alla presidenza Paul Ryan.
Per questo nipote dell'Abruzzo, nato e cresciuto in Michigan, rimpiazzare Obama è cruciale. E tra una risata, un aneddoto e una stretta di mano, a tavoli di Donatello molti dimostrano di pensarla come lui.
Non che i 20 milioni di italo-americani degli Stati Uniti siano tutti repubblicani, anzi. Tra i 30 membri del consiglio di amministrazione ci sono anche ferventi democratici. Ma il business è il business e «noi vogliamo che questo Paese ritorni a essere l'humus giusto per la proliferazione delle imprese. E si sa che gli italiani sono fenomenali piccoli imprenditori».
I dati sull'export in America dall'Italia, diffusi dall'ambasciatore via Twitter prima della cena, sono confortanti: +8,1% rispetto alla media del resto del mondo. La strada su cui lavorare è tracciata.
FINMECCANICA SOCIO AL 25 DI MBDA. Anche perché delle entrature di Valente al Congresso, oggi, non sono moltissimi gli italiani a beneficiare. Il signore che conosce bene la Casa Bianca non ama sbottonarsi, ma spulciando tra gli archivi compare Finmeccanica, in qualità di socio al 25% di Mbda (gli altri sono Eads e Bae Systems, entrambi al 37,5%), «l'unico gruppo in grado di progettare e produrre missili e sistemi missilistici che coprono l'intera gamma e che corrispondono alle attuali e alle future esigenze operative delle tre forze armate (terra, mare, aria)».
Ma di certo la rosa potrebbe essere più ampia se la Niaf piazzasse un proprio uomo all'interno della futura amministrazione Romney, come auspicato da molti a Tampa.
MASSIMA COPERAZIONE CON L'ITALIA. Il nome sussurrato è quello di Joseph del Raso, presidente dell'associazione italo-americana dalla solida fede repubblicana e altrettanto solide frequentazioni tra Roma e Washington, già a servizio di George W. Bush e insignito nel 2010 dal Quirinale del titolo di cavaliere del lavoro.
Sono solo supposizioni, sussurrate tra un calice di vino e l'altro, lontano dai taccuini e dai registratori. Forse poco più che desiderata, di cui comunque gli imprenditori italiani che con la Niaf hanno contatti - i cui nomi sono «riservati», dicono da Washington - non sono stati nemmeno informati: sarebbe prematuro.
«Perché comunque vada, i rapporti tra Italia e Stati uniti resteranno ottimi, sotto ogni profilo», si affretta a precisare Valente. «Tutti i governi americani sono sempre stati vicini a quelli italiani, la cooperazione è massima, a prescindere da chi è in carica».
LA PASSIONE USA PER BERLUSCONI. Che Romney vinca la Casa Bianca e il premier Mario Monti resti o meno in carica, insomma, per la diplomazia delle lobby, culturali o degli affari, il legame italo-americano è inossidabile.
Ma Valente, ecco, una simpatia particolare ce l'ha. «Certo, se lo chiede a me, e parlo a titolo personale, io mi sento più vicino a Silvio Berlusconi: lui è un vero capitalista come bisogna essere».

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