Christopher Celenza (Director - American Academy in Rome)

Aug 05, 2013 4646

Capita a volte che per intervistare personalità a capo di istituzioni che hanno sede a Roma, non si abbia solo il privilegio di incontrare persone di grande capacità e cortesia, ma anche di farlo in luoghi che contribuiscono alla grande bellezza romana. La American Academy in Rome è il migliore esempio di questo tipo: non solo perché il Prof. Christopher Celenza, che la dirige, ci accoglie con disponibilità e ci racconta cose che non sapevamo, aspetti inediti del rapporto tra Italia e USA; ma perché lo fa in uno splendido luogo sulla collina del Gianicolo, nel quale il bello è rappresentato dall'esterno e dagli interni dell'Accademia, e anche dal motivo per cui molti suoi ospiti sono a Roma. Personalità americane (quasi tutti) incantate dalla storia, dall'arte e dalla cultura romana e italiana. Un altro importante aspetto del nostro viaggio back and forth tra l'Italia e gli USA.

Prof. Celenza, Lei è il Direttore dell'American Academy in Rome. Ci dice qualcosa su di Lei?

Io ho iniziato come studioso del Rinascimento Italiano, con un dottorato in storia alla Duke University in North Carolina, e poi un secondo dottorato in filologia in Germania. Ho passato due anni di studio in Italia, uno a Firenze alla Biblioteca Laurenziana e uno a Roma come borsista dell'American Academy in Rome, e poi ancora un paio di anni in Germania. Tornato negli Stati Uniti ho insegnato nel Dipartimento di Storia a Michigan State University per 9 anni, per poi trasferirmi a Baltimora alla Johns Hopkins University nel 2005. Una volta uscito il bando per il posto di Direttore qui a Roma, ho inviato la mia candidatura e, dopo circa sei mesi di interviste e colloqui, sono stato selezionato per dirigere l'Accademia Americana. L'incarico durava tre anni, è stato esteso a quattro, e scadrà nel 2014.

Quando e come è nata l'American Academy in Rome?

E' nata nel 1894, all'inizio come Accademia di Architettura, per volere dell'architetto Charles McKim, titolare dello studio McKim Mead & White che edificò importanti opere negli USA come ad esempio la Boston Library. Fu lo stesso studio che dal 1911 al 1914 costruì l'edificio che da allora ospita l'Accademia. Nel 1895 nacque anche la Scuola di Archeologia, che successivamente si fuse con l'Accademia di Architettura per dare vita all'American Academy in Rome. Siamo un'istituzione interamente privata, che non fa parte della rete del Governo Americano, anche se naturalmente collaboriamo con loro.

Nel corso dei decenni abbiamo ospitato migliaia di artisti e studiosi. Quasi tutti i vincitori del Premio Pulitzer per le composizioni musicali sono passati di qui, ad esempio Samuel Barber, Aaron Copland, solo per fare due nomi; oppure diversi artisti come Chuck Close, Frank Stella, o architetti come Robert Venturi. Le frequentazioni di questi e molti altri talentuosi personaggi ha reso l'Accademia un centro di riferimento mondiale per le arti.

Quali sono le vostre attività? Avete un programma di borse di studio?

Noi ospitiamo le belle arti di tutti i tipi, tutti gli studi umanistici: il mondo antico, quello medievale, rinascimentale e moderno, in tutte le discipline come Storia dell'Arte, Storia, Filologia, Filosofia ed altre. Quello che ci caratterizza è il fatto di far convivere insieme artisti e studiosi, che normalmente non vivono nello stesso mondo, e che da noi traggono vantaggio reciprocamente da questa commistione.

Abbiamo quattro categorie di ospiti. Ci sono 30 vincitori della borsa di studio Rome Prize: sono di età media di circa 35 anni, stanno qui per circa un anno, vengono selezionati tra più di 900 domande, da 8 giurie i cui membri cambiano per statuto ogni anno e che sono le uniche titolate a concedere le borse di studio. Poi ci sono i Residenti; sono artisti o studiosi ad un livello molto più alto dei borsisti, hanno un'età media maggiore, sono qui solo per due o tre mesi e ne abbiamo 12 o 14 ogni anno. Ci sono inoltre gli affiliated fellowships: sono borse di studio sponsorizzate nel nostro ambito disciplinare espressamente da alcune istituzioni con le quali siamo affiliati. Ne abbiamo una con il Metropolitan Museum of Art, che ogni anno ci manda uno dei suoi curatori per un periodo dalle 4 alle 6 settimane; abbiamo università; abbiamo un borsista russo, che proviene dalla Fondazione Brodsky; c'è un programma di scambio con la Scuola Normale Superiore di Pisa; e abbiamo tre borsisti italiani ogni anno per tre o quattro mesi, che sono artisti. La quarta categoria di ospiti sono i visiting artists and scholars. Loro fanno domanda tre volte all'anno: se abbiamo lo spazio, e i loro progetti artistici rientrano all'interno del nostro ambito disciplinare, vengono qui e affittano gli spazi dei quali necessitano per sviluppare la loro arte. Dunque, nei periodi di piena attività c'è un'ottantina tra studiosi e artisti, ai quali noi diamo vitto e alloggio. Anzi, abbiamo verificato che, siccome tra di loro non si conoscono, e magari passano il loro tempo in situazioni di studio o di lavoro individuale, lì dove hanno modo di parlare informalmente e conoscersi e da dove parte la positiva contaminazione tra i nostri ospiti è proprio a tavola: ogni settimana ci sono sei pranzi e cinque cene a disposizione di chi vuole mangiare qui e fare conoscenza e conversazione con gli altri.

Abbiamo poi un robusto programma di eventi pubblici: quello del prossimo anno sarà disponibile a breve sul nostro sito www.aarome.org. Organizziamo molti concerti, in alcuni dei quali si esibiscono i nostri artisti. Abbiamo poi ogni anno come Residenti per una settimana i musicisti dello Scharoun Ensemble Berlin, componenti della Berlin Philharmonic Orchestra, che si esibiscono in un concerto. Facciamo ogni anno due o tre mostre, sempre aperte al pubblico e gratuitamente. Teniamo anche un ciclo di incontri di natura accademica. Durante il mio mandato, io ho voluto poi sviluppare una serie di eventi dal titolo "Conversations that matter", che trattano di attualità: ad esempio, l'anno scorso ne abbiamo fatto uno sull'Italia contemporanea, con due giornalisti americani, un professore americano di Storia d'Italia moderna e un giornalista italiano.

Cos'è il Rome Sustainable Food Project?

E' un progetto nato circa 9 anni fa da un'idea della Presidente Adele Chatfield-Taylor. La Presidente conobbe una chef molto famosa nel mondo dello slow food americano, di nome Alice Waters, e con lei fece un accordo per cui dalla California arrivarono qui in Italia due chef, che fecero quello che già avevano fatto per il suo ristorante: creare una rete di produttori di cibo qui in zona. E' un progetto che ci permette di offrire cibo seguendo naturalmente il ciclo delle stagioni, mangiando cose ottime e sane – alcune prodotte all'interno del nostro orto – a costi limitati, visto l'alto numero di persone che ospitiamo. Diciamo che anche gli italiani, alle cene che offriamo ogni tanto ad ospiti esterni, vengono con molto più piacere rispetto a un tempo, quando non sapevano bene che tipo di cucina e di prodotti aspettarsi da un Accademia ... Americana! Ora invece stiamo facendo una cosa molto ... Italiana, con prodotti freschi e biologici.

Voi ospitate ricercatori, docenti e artisti, in quella che molti – compreso il sottoscritto – ritengono essere la più bella città al mondo. Le chiediamo di descriverci l'impatto della nostra capitale sugli americani che ospitate, persone che dedicano la propria vita alla cultura, al bello, all'arte, dotate quindi di una particolare sensibilità e di una non comune attenzione a questi temi.

Per gli studiosi, che vengono con un progetto più o meno definito – ad esempio un archeologo che sta facendo una ricerca, o un esperto del periodo medievale, si tratta di una città nella quale in genere sanno già un po' come muoversi, e cosa aspettarsi. Per gli artisti, invece, generalmente è un po' diverso. Loro arrivano qui a Roma, e cominciando a visitarla si ritrovano circondati da arte e cultura, ovunque: a volte qualcuno è persino un po' in soggezione, pensando di essere qui per dare vita alla sua arte, ma sentendosi difficilmente in grado di potersi comparare con 2000 anni di storia e tradizione, talento e bellezza come quella che trova qui. Roma però costituisce sempre per loro una vera ispirazione: alcuni la colgono ed iniziano a lavorare sulla loro arte già qui, altri ci dicono che la riflessione che è nata dall'ispirazione di Roma ha permesso loro di iniziare a creare solo dopo essere tornati negli Stati Uniti, magari per l'evidenza del diverso scenario nel quale tornano.

Io penso che Roma sia una città davvero cosmopolita, nel senso che da sempre ci sono tante nazioni, tante culture che si incontrano: quasi ogni Paese ha due o tre o addirittura quattro Ambasciate, ci sono trenta Accademie straniere, e poi la presenza della sede della Chiesa rende numerosissimi gli stranieri che, per turismo o perché la rappresentano nel mondo, vengono qui. Da un certo punto di vista, Roma è quindi una sorta di modello per il mondo di oggi, che da tempo ospita diverse visioni e tradizioni e le accoglie e continua a farlo rispettandone le differenze e le possibilità di integrazione: e tutto questo mantenendo la sua cifra, le sue caratteristiche, la sua identità, rimanendo sempre Roma. Per cui per un giovane borsista stare oggi a Roma è importante per la sua concezione dell'appartenere ad un mondo globale, potendo imparare da una città che da 2000 anni ha storia, tradizione e cultura dell'accoglienza.

Esistono altre American Academy in altre città?

Si, però non siamo collegati ufficialmente. Ce n'è una a Berlino, fondata dall'ex Ambasciatore Richard Holbrooke negli anni '90 dopo aver consultato anche i nostri vertici per la loro esperienza qui da noi, che si occupa soprattutto di studi sulle scienze politiche internazionali e un po' più contemporanei. Ce n'è anche una nuovissima anche a Gerusalemme. Ma come ripeto, sono strutture indipendenti l'una dall'altra, ognuna con la sua Fondazione.

Il mondo della conservazione dei beni culturali è in Italia oggetto di un ampio dibattito. L'Italia ha un vastissimo patrimonio, che poco spesso riesce a valorizzare come dovrebbe. Gli Stati Uniti, d'altro canto, sono il Paese che meglio valorizza e più investe, con fondi per lo più privati, nella cultura. Dal suo punto di vista, cosa dovremmo fare qui in Italia per dare il giusto risalto e la giusta protezione e valorizzazione al nostro patrimonio artistico e culturale?

Ho visto che anche qui esiste qualche iniziativa in cui si cerca di coinvolgere anche i privati. Certamente non spetta a me dire quello che un altro paese deve fare ... sicuramente, parlando degli aspetti che possono essere introdotti per legge, negli Stati Uniti c'è un forte impulso a donare dovuto agli sgravi fiscali che vengono concessi per motivi filantropici. Forse, se ci fosse la volontà politica, questo potrebbe essere un riferimento interessante: ma dev'esserci un sentimento collettivo in questo senso, perché queste cose non funzionano mai se vengono imposte dall'alto senza che rappresentino la volontà popolare.

Ovviamente la trasparenza è fondamentale. Noi siamo una non profit, registrata a New York, che permette di accedere alle agevolazioni fiscali per le somme a noi donate. Questo accade perché ogni anno abbiamo una importantissima visita dai revisori dei conti, che guardano ogni singola riga del budget: se qualcuno ha donato una somma per la biblioteca, ad esempio, noi dobbiamo aver speso quella cifra per la biblioteca e non per altro, e deve tutto risultare in maniera lineare e trasparente dal bilancio. Noi riceviamo dalla nostra Fondazione circa il 40/45% del nostro budget: il che significa che dobbiamo poi fare fundraising per la restante, non piccola percentuale. Lo facciamo anche noi negli Stati Uniti, e con una serata di gala qui in Italia in primavera: le entrate di quella serata finanziano i borsisti italiani.

Diciamo anche che è una tradizione europea, non solo Italiana, quella per cui sia lo stato, e quindi il settore pubblico, a prendersi cura delle sue opere d'arte e a finanziare la cultura. Effettivamente, in Italia c'è un patrimonio da conservare più vasto che in altri paesi, quindi è un problema che esiste: anche perché, in questo periodo di grande crisi, se ci si deve trovare a scegliere tra tagliare i fondi per un ospedale, o una scuola, e quelli per un museo o un sito archeologico, è comprensibile che anche con grande dispiacere si arrivi a dover tagliare i secondi e mantenere i primi.

E' interessante il suo spunto, e allora chiudo chiedendole: proprio perché avete accesso alle donazioni di facoltosi e generosi finanziatori, siete estremamente trasparenti e da più di cento anni vi occupate ad altissimo livello di arte e cultura, siete mai stati coinvolti da qualche istituzione italiana nel recupero di qualche bene Italiano?

Ci sono stati talvolta piccoli progetti nei quali siamo stati coinvolti. Oggi non saremmo in grado di farlo, siamo una realtà meno grande di quanto si possa pensare: ma chissà che in futuro, forse, si possa pensare di affiancare alle nostre attività anche un progetto come questo.

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